L'abbiamo Fatta Grossa
Arrivato alla soglia dei 65, Verdone, in L'abbiamo fatta grossa, ribadisce i suoi usuali e perdonabili difetti: sempre encomiabile è il desiderio, maturo, di aggiornare la propria tipologia di commedia, mostrare i nuovi tic e le nuove contraddizioni del Paese qui e adesso, con spazio a figure e psicologie incapaci di adattarsi alla realtà, relegate ai margini e schiacciate, prima pedine e poi capri espiatori. I gesti comici sono i medesimi della filmografia verdoniana, come pure le urla e le parolacce. Verdone è autore che non vuole deludere il pubblico e opta per schemi e situazioni risapute e familiari agli aficionados, benché la rappresentazione del reale sia meno graffiante del solito. A confermarlo sono gli echi e i rimandi ai suoi film più amati, seminati più per furbo escamotage che per nostalgia: il detective di mezza tacca Merlino, ex carabiniere, vive con la zia aterosclerotica come il Rolando di Acqua e sapone viveva con la nonna, e nel corso di una cena galante, narrando di improbabili avventure gialle, ripesca il piglio sbruffone e gaglioffo di Sergio-Manuel Fantoni.
L'abbiamo fatta grossa
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Proprio la sua gelosia nei confronti della nuova relazione dell'ex moglie, intrecciata nientemeno che con il suo avvocato divorzista, lo spinge a rivolgersi al professionista dello spionaggio per testimoniare, con tanto di foto incriminanti, la sua infedeltà. Da qui le strade dei due uomini, così simili nella loro diversità fatta di esperienze fallimentari, finiranno per intrecciarci grazie ad una serie di disastrosi equivoci scaturiti da intercettazioni, scambi di personalità, travestimenti, valigette piene di soldi, e rapimenti.
Due sono le grandi novità di L'abbiamo fatta grossa. Oltre alla nascita di una nuova coppia comica va segnalato un nuovo tipo di approccio alla storia scelto da Carlo Verdone. Se, negli ultimi anni, lo avevamo visto firmare ed interpretare film nei quali il suo personaggio doveva affrontare problemi legati alla sfera privata, dal rapporto con l'altro sesso a quello con i figlio, passando per le difficili condizioni lavorative in pellicole come Posti in piedi in paradiso, L'amore è eterno finché dura o il già citato Sotto una buona stella, con L'abbiamo fatta grossa il vero cuore del film risiede nell'incontro/scontro tra due uomini in un contesto nuovo per l'attore/regista. "È stato Pasquale Plastino, co-scenggiatore insieme a me e Massimo Gaudioso, a esortarmi per riprendere degli appunti passati su questa figura di investigatore squattrinato con problemi simili a quelli del personaggio di Antonio. La parte più difficile è stata la scalettatura visto il gran numero di eventi mentre scrivere la sceneggiatura è stato un processo molto più veloce" confida Carlo Verdone durante la conferenza romana di presentazione del film, aggiungendo: "Quando parti con l'idea di scrivere un film su un'investigatore privato è ovvio che nella sceneggiatura ci saranno elementi di noir o una leggera suspance sebbene si tratti sempre di una commedia. Ma con questo lavoro volevo, in un certo senso, liberarmi dai miei ultimi film che mi avevano visto protagonista in una serie di temi già affrontati, dallo scontro generazionale al conflitto uomo/donna. Con Antonio e la sua comicità così fisica volevamo creare qualcosa di nuovo ed inserire una leggera critica di costume nel finale. Il tutto con un'atmosfera più favolistica. Sentivo che, come avevo già fatto in passato, dovevo sterzare nella mia carriera, andando incontro ai gusti del pubblico ma sempre realizzando qualcosa che m'interessasse".
Con L'abbiamo fatta grossa, poi, a differenza del suo ultimo lavoro, girato quasi esclusivamente in interni, Verdone riscopre una Roma, così tanto abusata nella storia del cinema, sotto un'aspetto meno conosciuto, ambientando il film in quartieri diversi dai soliti set capitolini, facendo anche scoprire a chi guarda scorci "nuovi" della città eterna. "Ho cercato di girare in quartieri poco battuti dal cinema, con il pasoliniano Bar Tevere sull'Ostiense. Un modo per me di omaggiare una Roma che non c'è quasi più, quella degli anni '50. Ma abbiamo girato molto anche a Monteverde Vecchio, al quartiere Castrense e sulla Nomentana cercando, anche con il direttore della fotografia, di non riprodurre una Roma da cartolina e cercare di girare in luoghi inconsueti. Inoltre, sempre con il direttore della fotografia e con lo scenografo e la costumista, abbiamo cercato un'amalgama unica nei colori, evitando di creare chiazze, ispirandoci a film di quindici/vent'anni fa di Woody Allen". 041b061a72
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